sabato 18 luglio 2009

"I hope I die before I get old" 17 Luglio 2009 - Vernissage

"I hope I die before I get old"
a cura di Annalisa Mentana
17 Luglio - 6 Settembre 2009
Masseria Sant'Agapito
Contrada Santa Caterina di Ripatetta - Lucera (FG)
Aperto tutti i giorni dalle 17,00 alle 23,00

domenica 12 luglio 2009

Recensione della mostra "I hope I die before I get old" su Viveur Magazine

Una mostra celebra l’estetica rock con le opere di sei artisti under 30. LUCERA Oggi sembrerebbero scontate, ma immaginate che effetto dovevano fare nel 1965 le parole della canzone My Generation degli Who: “I hope I die before I get old”, spero di morire prima di diventare vecchio. C’era tutta la rabbia della contestazione giovanile, la morte non faceva paura, il rock celebrava le sue icone che si spegnevano con le proprie mani pur di consegnarsi alla leggenda eternamente giovani, eternamente forti. Oggi, I hope I die before I get old è il titolo di una mostra collettiva di arte contemporanea ospitata dalla Masseria Sant’Agapito (contrada Santa Caterina di Ripatetta, in località San Giusto, sulla strada provinciale per Vaccarella, nei pressi di Lucera). La curatrice della mostra Annalisa Mentana ha invitato sei artisti, tutti rigorosamente under 30, per “un inno alla morte non fine a se stesso, ma piuttosto con il desiderio di esorcizzarla e deriderla, la volontà di buttarsi a capofitto nella vita, anche a costo di bruciarla in un’unica fiammata”. Hanno risposto all’invito sei creativi di casa nostra. Pierpaolo Febbo “intervista” suicidi eccellenti come Nick Drake, Elliott Smith e Dennes Boon dei Minutemen e permette loro di descrivere il modo in cui sono passati dalla vita alla morte. Laura Lamoratta cita gli autoscatti adolescenziali, Dario Molinaro riflette sulla condizione di bambini divenuti ormai grandi senza aver assaporato nemmeno per un istante l’infanzia. Elbluo, nickname di Giacomo Bagnara, rappresenta soggetti dalle bocche serrate: i più attenti sapranno riconoscere le stelle più luminose del rock. Cosimo Piediscalzi riesce a dire qualcosa di nuovo sul tema dell’autoritratto, mentre Raffaele Siniscalco isola i primi versi della canzone degli Who per mettere in contrasto rosso e nero, il “noi” e il “loro”. La mostra verrà inaugurata alle 19.00 di venerdì 17 luglio e resterà aperta fino al 6 settembre, e potrà essere visitata tutti i giorni, dalle 17.00 alle 23.00. L’ingresso è libero. Proprio come il rock. i: www.masseriasantagapito.it

venerdì 10 luglio 2009

"I hope I die before I get old" mostra collettiva a cura di Annalisa Mentana

Masseria Sant’Agapito inpArte ArteContemporanea Presentano I hope I die before I get old Mostra collettiva di Arte contemporanea A cura di Annalisa Mentana Presentazione di Gerardo Di Feo Espongono: Elbluo, Pierpaolo Febbo, Laura Lamoratta, Dario Molinaro, Cosimo Piediscalzi, Raffaele Siniscalco La mostra si terrà presso: Masseria Sant’Agapito C.da Santa Caterina di Ripatetta – San Giusto Strada provinciale per Vaccarella n. 117 71036, Lucera (FG) Dal 17 luglio al 6 settembre 2009. INAUGURAZIONE: Venerdì 17 luglio h. 19.00 La mostra sarà visitabile tutti i giorni dalle 17.00 alle 23.00. INGRESSO LIBERO. INFO: Masseria Sant’Agapito: Tel. 0881/547827 mail: info@masseriasantagapito.it Annalisa Mentana: Tel. 328/8611056 mail. annalisa.mentana@hotmail.it www.masseriasantagapito.it inparte.expo@gmail.com inparteartecontemporanea@yahoo.it I hope I die before I get old Parliamo della mia generazione, quella di chi è nato negli anni ‘80: gli ultimi ad aver visto in piedi il Muro di Berlino e probabilmente anche gli ultimi ad aver costruito “muri” con il lego colorato. A ben vedere, tuttavia, la tendenza ad una sorta di “auto-analisi generazionale” non è cosa nuova se nel 1965 i The Who pubblicavano il loro singolo più famoso: “My generation”, appunto. Il chitarrista di quella mitica band, Pete Townshend, alla fine degli anni ‘50 frequentava a Londra la Ealing Art School: vi insegnava un certo Gustav Metzger, che nel ‘59 pubblicava il “Primo Manifesto dell’Arte autodistruttiva”. Tra le varie affermazioni contenute in quel Manifesto una in particolare avrebbe affascinato il giovane Townshend, quella secondo la quale l’opera d’arte avrebbe dovuto avere un’esistenza brevissima, dai pochi attimi al massimo di una ventina d’anni: un’esistenza al termine della quale l’opera sarebbe dovuta essere rimossa dal suo spazio e gettata tra i rottami. Proprio uno dei versi di “My generation” dice “I hope I die before I get old”, “spero di morire prima di poter diventare vecchio”, come a voler sintetizzare un vecchio principio dell’estetica decadente, “la vita come opera d’Arte” e l’affermazione di Metzger sulla durata di essa. In sostanza: facciamo della vita un’opera d’Arte, ma sapendo che “il Bello” è anche per antonomasia effimero, volatile, veloce come un riff di chitarra. Non dunque un inno alla morte fine a sé stesso, ma piuttosto il desiderio di esorcizzarla e deriderla, la volontà di buttarsi a capofitto nella vita, anche a costo di bruciarla in un’unica fiammata. Ho così invitato sei giovani, tutti under 30, a confrontarsi con questa suggestione, sapendo che essa sarebbe stata ampiamente accolta e condivisa. La mia generazione non vuole scherzare con la vita, ma scherzare della vita, volgerle uno sguardo disincantato e disinibito, ed in questo modo raccontarsi (Talkin’ about...). E all’abbrutimento dilagante questi ragazzi hanno voluto replicare in maniera chiara e forte con la loro arte spesso nervosa, veloce, a tinte forti, punk. All’assenza di contenuto così paventata nella/dalla comunicazione contemporanea hanno voluto rispondere aggiungendo spesso parole alle immagini, a voler invece ribadire una sovrabbondanza di quel contenuto, che “l’immagine” non è tutto, come si dice, ma che di essa e del culto che se ne fa, ci si può prendere gioco. Una ventina d’anni al massimo sarebbe dovuta durare un’opera d’arte secondo Metzger: questa la “durata” anagrafica degli artisti in mostra che si sottopongono al vostro sguardo. Qui di seguito una breve presentazione degli artisti in mostra. Mute e serrate per sempre le bocche dei sei personaggi proposti da Elbluo (al secolo Giacomo Bagnara) e definitivamente chiuso lo sguardo al mondo di chi forse ha già visto troppo. Dietro l’apparenza di donne e uomini comuni l’artista nasconde alcune delle più controverse icone rock: ci vengono qui restituite in una nuova dimensione quasi pirandelliana, quella di chi deliberatamente decide di sottrarsi ad un’esistenza – la propria - non più sostenibile, di rinunciare al mito di sé e così riconsegnarsi alla vita con una nuova “non-identità. Si dice che il rock sia la musica del demonio, mentre Dante ci assicura che i suicidi vadano all’inferno. Pierpaolo Febbo smentisce tutto ciò. Nei suoi ritratti Nick Drake, Elliot Smith e Dennes Boon dei Minutemen prendono direttamente la parola e raccontano la verità su sé stessi e su come si siano congedati dalla vita. Quelle parole restano tuttavia impronunciabili, la comunicazione irrimediabilmente interrotta, le verità per sempre nascoste. All’artista non resta altro che spalancare fiduciosamente loro le porte del paradiso. Come autoscatti presi da un adolescente davanti allo specchio della propria cameretta o del bagno della scuola i disegni di Laura Lamoratta fissano gesti minimi di vanità femminile e rabbia; ciò che comunemente è percepito come umiliazione e sconfitta qui diventa quasi motivo di orgoglio, degno di essere immortalato. Dario Molinaro volge il suo sguardo impietoso e sarcastico ad una società il cui tradizionale assetto è percepito come ribaltato: bambini cresciuti troppo presto e che rimpiangono un’infanzia mai vissuta e adulti mai realmente diventati maturi. Tra i due estremi si colloca il magma informe dei “non più bambini ma non ancora grandi”: privi di punti di riferimento, condannati a sbandare tra falsi miti e percezioni distorte del reale. Approfondisce il tema dell’autoritratto Cosimo Piediscalzi, restituendoci un’immagine di sé sfuggente e scomposta, tutt’altro che pacificata. Il colore viola, col suo bagaglio evocativo, domina nei sei lavori in mostra e fa da sottofondo ad un irriverente gioco di morti presunte ed annunciate. Raffaele Siniscalco interpreta il tema della mostra dedicando i lavori esposti ai primi versi di “My generation”, il celebre brano degli The Who. La netta contrapposizione tra il rosso ed il nero segna il confine tra un “noi” ed un “loro”, diventa metafora di due generazioni che si puntano vicendevolmente il dito contro eludendo il confronto dialettico, che si condannano a morte ancor prima di celebrare il processo. Ed ora...why don’t you all f-fade away?? Annalisa Mentana